L’UNIVERSO [DIS]TOPICO DI LUCA MATTI
di Eleonora Farina
Impossibile passeggiare nelle Mega City di Luca Matti (1964, Firenze). Un amalgama di città senza con ni e di skyline spaventosi; un camminamento piranesiano fatto di feritoie, di porte automatiche e di scale mobili senza sbocchi; un perdersi e un mai ritrovarsi tra sterminati torrioni grigi; un incedere gravoso nei sotterranei di una Terra snaturata, dove il cielo è livido e il sole è ormai spento. Il Supermondo (2017) di Matti è un’iperrealtà baudrillardiana costellata di macchine da scrivere e frigoriferi vuoti (1994), di caloriferi e televisioni spente (1995); un simulacrum tecnologico all’interno del quale l’uomo ha dimenticato l’essenza del tutto e si a anna invece nei meandri di una quotidianità che ha inesorabilmente modi cato le sue sembianze siche rendendolo ombra di se stesso, un umanoide kafkiano. L’ironia sottile e al contempo pungente dell’artista orentino, il suo tratto docile e insieme assordante di realizzare ed assemblare città di numero in nito, mette in scena un macro-mondo composto da micro-pianeti, piccoli come palline da ping pong (stessa tecnica utilizzata per il cubo scomponibile di Caleidoscopica, 2015-17) e fragorosi di grattacieli, di ferro e di cemento: un pianeta in cui la presenza umana è stata irrimediabilmente scon tta dal progresso scienti co e sconta di conseguenza una dannazione eterna; un pianeta boschiano, in ne, dove la vita ha lasciato posto al nero della solitudine, dell’inettitudine, della scomparsa dell’individuo.
Supermondo è arguta fotogra a dell’attuale realtà (post-)antropocenica, popolata di esseri anodini ed inquietanti, di animaletti corazzati – forgiati dall’artista con camere d’aria e gomme nere – di donne insetto (2004) come anche di blatte mutanti (1995), di salamandre (1990) come di tafani (2016): perché solo gli entomi, ricorda la scienza, manifestano una capacità di resilienza alle condizioni di vita estreme tale da adattarsi a questo presente distopico. Ombra è diventato l’uomo espressionista di Matti, ritratto nel gra co bianco/nero delle incisioni su linoleum o in quello fumettistico delle video-animazioni in stop-motion; volto spigoloso e senz’anima, arti lunghi e a usolati di fuggitivo (1995); un utilizzo di spazi, forme e movimenti futuristi per un oggi che non è più “radiosa magni cenza del futuro”1 ma mero frammento di velocità (1997). Un ricerca tecnico-artistica di solo bianco e nero iniziata due decenni fa, dove la super cie del quadro si fa sempre più claustrofobica, coperta da leggeri strati di olio plumbeo, da materiale bituminoso attraverso il quale a orano le Bitumville (2011-17); e dove il genere umano, annientato dagli ingranaggi di una civiltà alienata dal cemento che non gli appartiene più, si abbandona in caduta libera come un novello Icaro (2005) blakiano.
È con il nuovo Millennio, il millennio della ne del mondo, quello del bug tecnologico e della generale crisi antropocentrica, che Matti disvela la vigoria atavica dell’umanità (che sia essa composta da donne e da uomini sembra questione mai posta dall’artista), il suo dinamismo creativo e la sua mente propulsiva: nascono i primi Building Heads (2013-17), ritratti a mezzo busto di individui dalla cui scatola cranica fuoriescono blocchi di muratura cubisti, scomposti rettangoli di altezze e dimensioni diverse, sobri edi ci, mondi visibili e mondi vivibili. E mentre quello conosciuto implode ineludibilmente, fagocitato da città feroci e megalopoli spietate, Matti narra di un secondo Big Bang (2007) rigenerante e generatore, di un universo complesso nel quale la vita è uno stato mentale (2002). L’artista intreccia infatti incubi gotici e sogni visionari, angeli primordiali e santi protettori, storie immagini che e suggestioni utopiche grazie alle quali l’homo faber diventa parte uida e riproduttiva dell’avvenire prossimo, perno di una società nuova e di una rinata civiltà politica. Scon tto il delirio post-moderno dell’esodo della popolazione terrestre sulla luna, gli in niti mondi concepiti da Matti sono lucentemente super- in quanto l’uomo vitruviano che li abita è esso stesso misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono. La Terra implosa quindi esplode, con duciosa prospettiva comincia un rinnovato ciclo vitale e la natura, ancora una volta rigogliosa, lascia spazio alla Giungla (2014-17) incontaminata.
1 U. Boccioni, C. Carrà, L. Russolo, G. Balla, G. Severini, Manifesto dei pittori futuristi, 11 febbraio 1911.