CORRADO AGRICOLA
Safety distance
L'ambiente come "intorno" è una
interazione tra due presenze,
quella dell'abitante e quella del luogo.
Franco La Cecla
Sembra che il mantenimento dei confini (territoriali, disciplinari, identitari, politici, linguistici) saturi le occupazioni (e le preoccupazioni) della maggior parte delle donne e degli uomini che si riconoscono nel sistema culturale del così detto Occidente. Sembra che il dérèglement, assunto come statutario nel tempo del cosmopolitismo digitale, abbia una doppia vocazione che si vuole ramificato e interconnesso e al tempo stesso dotato di sbarramenti e porte valicabili solo a forza di abiure o parole d'ordine. Sembra che tutto questo riguardi con la stessa intensità i singoli e le istituzioni. La conseguenza più allarmante si legge in come prende vigore la pretesa di spogliare le periferie dei mondi fra loro tangenti della naturale e fertile indefinitezza che le caratterizza. Le macerie dei secoli non insegnano un granché e quello corrente si candida a essere il secolo degli immemori (è, di fatto, l'era dell'idolatria del presente, edonista e miope) che invece di sfruttare il laboratorio di cultura e cambiamento che da sempre fermenta lungo le linee di margine, voltano le spalle all'incertezza nata delle frizioni ai confini. Quello di Corrado Agricola è un lavoro di analisi minuziosa di quei microcosmi domestici e intimi in cui si alimenta il mito dell'identità – intendendo qui l' identità come paradigma di uno status che non concede mutamenti, e che proprio nell'esaltazione nel limite (tra sé e l'estraneità rispetto a sé) trova conferma della propria esistenza. Si tratta dunque di una riflessione sullo spazio della relazione interpersonale e sulla capacità di condivisione dell'individuo. A partire dal video – che in mostra viene proposto come un'introduzione, una sintetica ouverture che contiene le tracce dei principali temi affrontati nel progetto – Agricola rappresenta la scena sulla quale si coltivano conflitti tra personaggi, che potrebbero essere estranei fra loro o parte di una famiglia male assortita: tutti interpreti dell'atteggiamento che ogni singolo cittadino adotta negli ambienti di condivisione sociale. Nel video, dunque, un rivisitato “gruppo di famiglia in un interno” abita un spazio ridotto e claustrofobico dove solo l'incidente, il disturbo creato da parte di uno dei soggetti, crea le condizioni per la conoscenza reciproca. È un'immediata sintesi di quei comportamenti, caratteristici della società mediatica, la cui natura è semplificata dal sistema dell'informazione che porta all'attenzione del pubblico - un'attenzione rapida e indolore - luoghi, persone e culture remote solo nel momento del disastro o della minaccia. In alcune delle stampe fotografiche gli abitanti appaiono temporaneamente assenti (il set è lo stesso delle riprese video, un modulo abitativo in cartone attorno al quale si muove tutto il lavoro recente dell'artista), ma la loro presenza è ugualmente forte, anche senza l'immanenza del corpo, e viene indicata attraverso oggetti che descrivono lo spazio, lo delimitano ulteriormente, e concentrano nella propria anomalia il senso di sorda autoreferenzialita' su cui si fondono le definizioni e le difese oltranziste degli spazi e delle identita'. Lo spazio prossemico, cioè la distanza che ogni individuo pone tra sé e gli altri, i potenziali aggressori, gli indesiderabili, per definire un'area di sicurezza, viene rappresentato come un spazio vuoto: una postazione di controllo, una miniatura verosimile di intimità che, però, denuncia la propria incapacità di apertura verso l'esterno, e finisce per rivelare proprio quella vacuità che gli accessori e l'arredamento cercano di mascherare. È, appunto, uno spazio vuoto. Così vuoto da riverberare la propria immagine e depositarla in un tragico, identico riflesso. Talmente ottuso da aprire una inutile guerra con il proprio doppio. La semplice sceneggiatura prevista da Agricola nelle diverse fasi del progetto innesca un confronto sulla coniugazione di identità ed egoismo con la quale, oggi più che mai, è indispensabile fare i conti. E gli esiti – i microspazi di illusorio potere e dominio assoluto – impongono una serie di interrogativi sulle questioni sociali e psicologiche che sorgono nella sfera di azione tra noi e gli altri, i nostri amici, gli estranei, gli “stranieri”, su quanto la civiltà occidentale sia stata capace di elaborare strumenti di dialogo e conoscenza, su quali siano i tratti fondamentali (e quale la validità) di termini come identità e cultura.
Pietro Gaglianò