ÀLOGO
di Giuliano Serafini
In greco moderno (àlogo) significa “cavallo”. Naturalmente per chi è di lingua ellenica – come peraltro avviene per ogni altra lingua – la parola ha perduto nell’uso il suo richiamo etimologico, il suo “seme” .
Sfugge meno a chi di lingua greca non è, tenendo conto di quel fin troppo evidente sintagma che collega l’alfa privativo “a” con “logo”; che di per sé, o utilizzato come suffisso di lemmi composti, in tutte le lingue a caratteri latini diventa sinonimo di “parola”, o “ ragione” o, per traslato, di “pensiero”, “conoscenza”.
Insomma “logos”è voce pertinente a quella categoria dello spirito che in chiave storico-filosofica, contrapponendosi al concetto antinomico di (mito), è prerogativa di ogni disciplina umanistica e speculativa, riportando insomma a quanto sia di competenza esclusiva dell’intelletto.
Lingua fondante, il greco, lo sappiamo. Tutti i grandi archetipi linguistici vi sono designati dalla natura e dalla funzione del referente: che si tratti di cosa, persona, fisionomia, carattere, situazione, prerogativa, costume, storia e mito. Nella genesi e nel destino semantico della lingua greca niente è astratto, tutto è invece simbolico e relazionabile, perfino, e siamo al paradosso, un concetto astratto.
Consapevolmente o meno - ma sappiamo quanto in arte poco importi questa disposizione psicologica e sentimentale - Dimitris Chiotopoulos ha dato forma ed espressione visiva al “logos”, cioè alla parola che nel tempo ha finito per individuare lo specifico quintessenziale del suo rimando: nel caso, il cavallo, appunto.
Nel senso che dall’etimo della parola ha estratto e “traslitterato” l’etimo dell’icona, operando un vero e proprio transfert dal contesto comunicativo verbale a quello plastico.
Ma questo passaggio non poteva avvenire attraverso un’espressione descrittiva, naturalistica, mediante insomma una forma compiuta, di facile riconoscibilità. Chiotopoulos doveva risalire piuttosto al senso originario del soggetto, alla sua identità primaria, così come viene evocata e attestata dalla parola relativa. Dunque non si trattava di andare alla ricerca di una vera immagine, ma di un morfema, di un’intuizione subliminale. Occorreva cioè mettere in scena un’ aura, un’energia, una folgorazione pronta a dissolversi, intercettare la visione alla sua scaturigine: perché da quel flash emanasse l’essenza “spirituale”del cavallo, la sua anima.
Creatura priva di logica, è scritto. Animale sfuggente, imprevedibile, bizzarro, nevrotico, difficile da domare. Ma anche il più legato all’uomo, il compagno insostituibile che l’ha affiancato in imprese di pace e di guerra lungo tutta la sua evoluzione storica. Al punto che quando non sono gli déi e gli eroi sulla scena del mito, è il cavallo a fare la sua comparsa. E’ l’immaginario collettivo che così ha deciso. Il repertorio si presenta vastissimo. Si va dai cavalli divini di Achille a quelli di Fetonte e Bellerofonte, della aurorale Eos e del solare Apollo, fino a Pegaso e al più mitico dei cavalli mortali, Bucefalo, che Alessandro onorò con esequie degne di un grande guerriero. E ancora, ma ormai è già storia, Incitatus, il cavallo-senatore di Caligola e quello mai esistito di Riccardo III, diventato oggetto di una scommessa fatale…
Ce n’è abbastanza perché Chiotopoulos finisca per seguire la traccia della sublimazione, perché il soggetto elaborato per antica predilezione si manifesti nella sua natura di paradigma, di emblema, di icona araldica: due silhouettes luminose che si affrontano, rampanti e allacciate come in un impeto erotico, teoricamente ripetute all’infinito. Un’immagine che finisce per diventare vessillo. Ed è subito simbolo, oltre cui non si può più andare, e l’artista lo sa bene.
ÀLOGO
by Giuliano Serafini
In modern greek (àlogo) means "horse". Certainly, for those who speak Greek - as happens with any other language - the word has lost in practice its etymological reference, its "seed".
It is something that escapes less easily non-Greek speakers, if one considers the all too obvious term which connects privative "a" with "logos", which, either by itself or used as a suffix of compound words in all languages using Latin characters, has become synonymous with "word" and "reason" or, metaphorically, "thought" and "knowledge".
In short, "logos" is relevant to that category of spirit which, at a historical-philosophical level and in opposition to the contradictory concept of (myth), is the prerogative of every humanistic and theoretical discipline, eventually referring to whether it is an exclusive faculty of the intellect.
Greek is a founding language, as we well know. All great linguistic archetypes are prearranged by the nature and function of the referent: whether it is a thing, a person, a physiognomy, a character, a situation, a prerogative, a costume, a history, a myth. In both creation and semantic fate of the Greek language, there is nothing abstract: everything is rather symbolic and relatable, even, paradoxically, abstract concepts.
Consciously or not – although we know how little this psychological and sentimental disposition counts in art - Dimitris Chiotopoulos gave shape and visual expression to "logos," that is to the word that eventually has come to define the quintessential characteristic of its reference: in our case, precisely, the horse.
In the sense that from the etymology of the word the artist has pulled out and "transliterated" the etymology of the icon, accomplishing a real transfer from a verbal communicative context to a plastic one.
Yet, this passage could not be completed through a descriptive, naturalistic expression or by means of a finished and easily recognizable form. Chiotopoulos would rather go back to the original meaning of the subject, its primary identity, as it is evoked and attested by the relative word itself. Therefore, it is actually not about trying to find a real image, but instead, a morpheme, a subliminal intuition. What he needs is to stage the aura, the energy and the electric shock ready to dissolve, to seize the vision in its source, since from this flash emanates the “spiritual” essence of the horse, its soul.
A creature devoid of logic, it has been written; elusive, unpredictable, bizarre, neurotic and difficult to tame. Yet, the animal most closely related to humans, their irreplaceable companion to peace and war endeavors alike, throughout their time-long historical evolution; to the point that when gods and heroes are absent from the mythical scene, it is the horse alone to make its appearance. This is the collective imagination’s decision expanding in an enormous repertory. This ranges from the divine horses of Achilles to those of Phaethon and Bellerophon; from the horses of auroral Eos and solar Apollo to Pegasus and to the most mythical of mortal horses, Bucephalus, which Alexander honored with a funeral worthy of a great warrior. And more, from within history, Incitatus, Caligula's horse-senator or the nonexistent horse of Richard III, which became the issue of a fatal bet.
There are many, since Chiotopoulos ends up following the trail of sublimation: the subject, already elaborated by ancient predilection, is manifested in its paradigmatic, emblematic and heraldic nature: two luminous, face to face silhouettes, rampant and intertwined as on erotic impetus, potentially repeated for ever. An image that ends up becoming a vexillum, an instant symbol, beyond which we cannot reach - a truth the artist knows very well.