GIOVANNI PEZZATINI
365 Giovanni: il mondo
“Parigi, Londra, Montecarlo, Costantinopoli” sono le destinazioni che Mangiafuoco, nella versione cinematografica di Pinocchio, elenca al burattino prospettando una fortunata, grandiosa tournée internazionale. Le quattro città sono altrettante mete di un viaggio in più tempi che Giovanni sta facendo in compagnia del babbo, un itinerario sulle tracce di un tour immaginato (e pure mai compiuto da Pinocchio, che è ad altre prove è destinato), che emerge in ordine sparso nel racconto polimorfo al quale Giovanni ha lavorato per mesi. L'origine di tutto è un passepartout di dimensioni modeste per cornici, poggiato su un foglio e usato come maschera per la composizione di un disegno. Poi per un altro disegno, e per un terzo, e altri ancora. Un'azione ripetuta (e declinata nella varietà di modulazioni che può comprendere) diventa linguaggio. Talmente ricco, e spudorato nella sua insubordinazione alle regole, da costituire da solo una visione autonoma. Così il padre ha incoraggiato Giovanni a continuare, e Giovanni è andato avanti, com'è visibile senza farsi condizionare dall'obbligo, sperimentando le tecniche e trovando uno spunto inedito a ogni nuova prova. Un diario intimo, che sul ritmo di una minuta e solerte ramificazione si centuplica, mai ripetendosi, e si fa monumentale. Il viaggio di Giovanni/Pinocchio presta solo alcuni episodi (l'autore riporta equanime tanto lo stupore per le novità di paesi stranieri quanto l'amarezza per la villania di alcuni regolamenti aeroportuali). Intanto, come in un grande romanzo storico del XIX secolo, come nel plot di una sterminata telenovela, come, del resto, nella vita reale, sotto la superficie dei 365 disegni si annodano alla trama centrale innumerevoli storie di complemento, personaggi minori, camei di celebrità più o meno planetarie, inaspettati contes philosophiques. Tutti, coralmente o con rapsodici assolo, compongono l'opera di Giovanni, con appunti di cronaca personale e famigliare, melting pot tra fiction e vita vissuta, e altri sipari alzati su altre immagini, non sempre chiare in modo immediato, che si presentano perentorie a confermare la propria parte di realtà, in forma, colore e découpage. “Gireremo il mondo”, dice ancora Mangiafuoco fantasticando su quanto si arricchirà esibendo il burattino senza fili. L'artista, nello studio che condivide con babbo Lorenzo, ripete la battuta e mi chiede: “ma cos'è il mondo?”. Penso che la risposta sia davvero facile, ce lo abbiamo davanti agli occhi il mondo, sintetizzato e amplificato all'infinito in decine e decine di disegni. Non solo il mondo di Giovanni, ma il mondo quello vero, e anche di più. Il mondo arricchito da tutte le ipotesi di viaggio, dalle sofferenze e dalle speranze non narrate, da quell'esercizio di critica che gli artisti compiono quando lo rappresentano. E al quale Giovanni non si sottrae, esprimendosi dall'interno, e al tempo stesso ben al di sopra, delle sue difficoltà. In questa prospettiva, il rettangolo delineato dal passepartout che l'artista utilizza come guida è una metafora della sua avventura: formalmente è una condizione di confine, ma a si trasforma con imprevista agilità in strumento per un salto visionario. Nella sua vita e nelle sue opere Giovanni fa dei limiti la forza e l'anima di un punto di vista inimitabile. Così, la semplice geometria definita dalla sagoma del passepartout, la sua casuale comparsa nel panorama visivo ed emotivo dell'artista, assume la stessa feconda virtù immaginifica (nell'accezione letterale di creazione di immagini) e moltiplicativa dell'Aleph di Borges.
Pietro Gaglianò