VALENTINO CARRAI - LUCA MAUCERI
Fytanthropos
Il divorzio tra Umanesimo e Natura è stato la scienza illuminista a celebrarlo una volta per tutte. Quando cioè, ignorando il motto di Eraclito secondo cui “la Natura ama nascondersi”, la civiltà occidentale ha compiuto il sorpasso estremo indagando all’interno dei suoi meccanismi e innescando un processo diagnostico e insieme parassitario irreversibile. E l’ha fatto con intenzioni e modalità del tutto agonistiche, dal ritmo schizofrenico: una conquista dopo l’altra fino a un perfettibile che di umano, come si sa, non avrebbe avuto più nulla.
Con Fytanthropos - che prima ancora di essere una creazione plastica tangibile collocata nello spazio, è un pensiero e qualcosa di più di una metafora - Valentino Carrai e Luca Mauceri hanno ipotizzato la reductio ad unum di quella ormai antica dicotomia. L’avvertimento dell’ “oscuro” di Efeso non li ha fatti desistere. Il loro golem germinante, che all’osservatore richiede il tempo che sarà necessario alla sua crescita e al suo illimitato sviluppo, non è che l’ibrido delle due grandi categorie. Ibrido che solo l’arte, pratica squisitamente intuitiva e refrattaria a ogni speculazione razional-scientifica, può essere in grado di mettere in atto e caricare di significati alternativi, quelli che vanno al di là dell’uomo e dalla natura stessa.
Fytanthropos è fatto di terra, biblicamente. La sua matrice deriva dunque in linea diretta dalla nostra memoria collettiva con tutte le sue implicazioni mistico-religiose. E’ creatura primordiale, palingenetica, è l’uomo allo stato di elisir, quello in cui non ha ancora coscienza di sé né conoscenza del mondo. Una condizione dunque particolarmente ricettiva e seduttiva (da se-ducere, attirare a sé) per l’innesto che gli darà il “soffio” vitale. Ma anche un terreno letteralmente fertile, da seminare, dietro l’impulso atavico che ha garantito la sopravvivenza all’umanità. Le escrescenze che si formano sulla sua “pelle” rivestendola di un vello vegetale e di germogli dicono della fecondazione avvenuta e del ciclo organico entro cui uomo e natura saranno destinati a riconciliarsi e riconoscersi. Forse.
Kandinsky ha detto: “L’arte comincia dove finisce la Natura”. Fytanthropos prefigura una smentita di questo dogma peraltro capitale, nel segno della mimesi totale di cui l’arte necessita per rigenerarsi, pena il suo stesso esaurimento.
Per empatia con quello della natura, appunto.
Giuliano Serafini