E … lasciamoli divertire … !
di Laura Monaldi
Palazzeschi è stato un personaggio originale, ambiguo e anticonformista, segnato da una profonda insofferenza e una costante insoddisfazione che lo hanno condotto, fin dagli esordi, a sperimentare ogni campo poetico e letterario. La passione per il teatro – primo vero maestro di vita e di arte – l’immersione solipsistica nella poesia – una addirittura scritta con il sangue – l’originale autonomia unita alla vena grottesca e ironica, furono i capisaldi di una poetica autodidatta, volta a creare e a dare al mondo una nuova linea, una nuova forma e una nuova struttura interpretativa. Nella parabola dello svecchiamento culturale lo scrittore mosse dall’osser-vazione diretta della vita e dal gusto corrosivo del ribaltamento dei miti, convinto che la realtà fosse una convenzione patetica da mettere in evidenza e demistificare: «I tempi son cambiati, gli uomini non domandano più nulla ai poeti» è la presa di coscienza dell’intellettuale moderno che si lascia andare alla deriva delle tendenze novecentesche, rinnovandosi costantemente, procedendo per paradossi e reazioni critiche e mettendosi costantemente in discussione, in un gioco di sperimentazioni che reclamano il diritto alla leggerezza e alla libertà espressiva. Contro una società invadente, condizionante e opprimente l’intel-lettuale rifiutò ogni qualifica e vestì i panni del «saltimbanco», del clown patetico e buffone che trae gioia e divertimento dall’amarezza del proprio tempo, consapevole che solo attraverso il riso e la gioia – «antidolore» per eccellenza e antonomasia – l’uomo può riscattarsi dalla crisi della modernità e sviluppare la propria profondità culturale.
Palazzeschi costruì la sua fortuna letteraria, affermando con forza la propria individualità e il proprio istinto espressivo: quell’indole, quella naturalezza e quell’in-clinazione che i nostri hanno messo in luce in una serie di opere dal nostalgico sapore neovitalistico. Un’energica miscellanea di forme, colori e formati che richiamano il mito di un’Arte dettata alla creatività libera e indipendente, autonoma ed espressiva, vitale e comunicativa, lontana dai circoli viziosi e ristretti degli ismi contemporanei, ricca di prospettive e possibilità, nella certezza che senza l’estetica la passione e la gioia creativa il mondo non possa esistere né progredire con il giusto temperamento. Fra l’impeto deflagrante del divertissement artistico, l’azzardo estetico e la possibilità di un riscatto liberatorio, gli artisti si sono aperti a una dimensione sterminata che procede oltre le convenzioni liriche e prosastiche, per riappropriarsi dell’in-nocenza formante dell’Arte in nome del divenire e del molteplice, dell’alterità e della partecipazione diretta dell’intellettuale militante alla pratica quotidiana di tutti i giorni. In tal senso si apprezzano le sperimentazioni di linguaggi, forme e accostamenti concettuali che si distaccano dalla percezione fenomenica, per aderire alla dimensione eclettica e poliedrica di Paolo della Bella, teso a non fermarsi alle apparenze, ma a procedere oltre le circostanze percepite, nella più alta e libera forma di espressione artistica che è la satira: una serie di alterazioni concettuali e figurative, poetiche e critiche, mosse al cambiamento e alla messa in luce delle contraddizioni delle esperienze segrete dell'Io. Un segno artistico che si pone a metà strada fra la realtà oggettiva e una sognata metafisica, che scorre sui filari armonici e vibranti dell’immaginazione per cogliere il fruitore nelle debolezze della percezione, là dove le intuizioni deduttive hanno la meglio e lasciano scorgere effettività nuove e inedite.
La scoperta del reale dentro il reale e oltre il reale, un connubio di materia viva che cresce e si sviluppa irresistibilmente nella consapevolezza che i linguaggi non trascendono il mondo, ma si mobilitano tenacemente nello stato delle cose e delle circostanze, sono invece i dettami della poetica di Aldo Frangioni, impegnato nella resa morfologica del particolare, nella costruzione di architetture mentali e narrative, nell’apertura a una leggibilità originale, fuori dagli schemi e capace di relazionarsi in modo analitico e sintetico al concreto. La resa delle forme fantasmatiche, delle cromie espressioniste, nonché l’eccentricità delle architetture narrative fanno delle opere dell’artista un insieme intellegibile di profondità visuali, fughe mentali e spazi astratti, il cui spessore denota e connota l’aspirazione a creare distruggendo e ricostruendo le accezioni quotidiane all’interno di una visione totale e totalizzante, in cui perdersi e ritrovarsi nello stesso istante.
Partendo da un semplice processo citazionale, gli artisti hanno colto l’occasione per marcare ancora una volta il diritto dell’intellettuale contemporaneo a conservare l’immagine ideale, il carattere eccezionale e supremo della creazione artistica: un modo di fare Arte che travalica il senso comune e il conformismo, frantumando radicalmente il linguaggio poetico con originalità e sensibilità. Le opere di Paolo della Bella e Aldo Frangioni rivendicano l’idea che essere artisti è un dono concesso a pochi, poiché solo a essi è ammesso di vedere e osservare il mondo, reinventandolo costantemente e cogliendo sfumature impercettibili. Essere artisti significa, quindi, raccontare il miracolo della visionarietà e dirigere il lettore nella meraviglia della percezione utopica e dell’ignoto, in un costante incontro-confronto con il reale e con il proprio mondo interiore. Proprio attraverso il divenire molteplice dello spirito creativo l’emotività trova piena aderenza con l’im-maginazione, rappresentando e trascendendo il visibile in una retorica artistica che rievoca le parole di Palazzeschi e funge da comune denominatore fra le linee d’azione poetica di Paolo della Bella e Aldo Frangioni.
«Io non sono un uomo […] io sono una creatura sensuale, un palpito libero nell’aria», riflette l’idea estetica, grafica, immaginativa, trascendente, vitale, introspettiva e spensierata alla base delle opere del duo artistico: una combinazione ricreativa e ridente che fa del ludus non solo un’ispirazione, ma una vera e propria modalità operativa. La serie di opere in esposizione non è solo un omaggio al codice palazzeschiano, ma un percorso poetico, una riappropriazione del gesto estetico in senso ludico, leggero e liberatorio, non vincolato al circolo vizioso dell’as-trattismo rappresentativo, bensì un’operatività a quattro mani che comunica oltre le apparenze della percezione e incanta lo spettatore sopra ogni lettura, nella gioia e nel piacere del creare … nel sorriso estetico della vita.