Variazioni per un viaggio d’inverno

e siamo già in viaggio, su un’imbarcazione che ci porterà a riva, incolumi o naufraghi. Non sappiamo quale sarà il nostro punto di approdo, perché la bussola ogni tanto perde il Nord e la rotta è spesso difficile da seguire. Ma le paludi non sono sabbie mobili; ne usciremo quindi, a riveder le stelle .
“Folli Naviganti nelle Paludi” è la mostra obliquamente eponima dietro la quale si dis-velano i lavori di Luca Matti, Aroldo Marinai ed Enrico Pantani.
Matti Marinai (nei) Pantani: tre viaggi di scoperta del mondo, di formazione del sé, di interrogazione circa la vita.
Luca Matti (1964) ci accompagna attraverso i cunicoli architettonici del nostro pianeta-terra: un Supermondo in cui la natura è stata fagocitata dall’urbanizzazione insensata ed estrema, in cui il cemento si è ampliato dando vita ad un’unica città-mondo ed in cui la quotidianità fugace e solitaria risulta essere la sola realtà visibile ed esperibile per la quale lo stesso essere umano è obbligato a cambiare volto (Buildinghead). Labirinti piranesiani nei quali si può sopravvivere tramite l’«accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più», o forse e meglio il «cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio» (Calvino, Le città invisibili). La bituminosa trama nera, ricorrente in Matti, ad un certo punto si dipana: il colore e la confusione si schiariscono lasciando spazio ad una porzione di cielo, luminoso e imprevedibile.
Aroldo Marinai (1941) si perde, invece e nuovamente, in quella natura selvaggia che accompagna il genere umano dalla sua nascita ed ancor prima; natura che l’attuale era geologica dell’Antropocene sta lentamente cancellando, ma che oggi come ieri ci fa percorrere gli stessi cammini dei nostri avi illustri. La racconta e la cataloga in maniera precisa, questa geografia floristica, Boccaccio nel suo De montibus sulle tracce della tradizione biblica e dei classici greci e latini, dove le silvae sono luoghi di passaggio, di smarrimento e di (ri)scoperta, e dove le paludes attraversate possono essere, anche, quelle stìgie dell’Oltretomba, che secondo il Virgilio epico circondano la reggia di Dite. E la racconta su tela Marinai nella serie De silvis, con tratto leggero e veloce, inoltrandosi in camminamenti che attraversano e deviano, in boschi e in foreste, nei quali il solo sentiero attuabile è una doppia linea, decisa – prolungabile all’infinito.
Enrico Pantani (1975), infine, intraprende il viaggio morale, spirituale ed intellettivo dell’Uomo, dove la mente risulta essere luogo immateriale di conflitto e risoluzione, di dualità e cambiamento. La figura del Matto si aggira in paesaggi interiori non rassicuranti, nei quali il sentimento di spaesamento, che è di oggi ed è di sempre, è la spinta propulsiva verso un equilibrio stabile. Tra i tòpoi letterari per eccellenza, la follia sfugge alla norma; ed è perciò che nel periodo pre-Riforma Brant ammassa tutti i folli su una nave – das Narrenschiff – diretta verso il Paese della Cuccagna. Ma la navigazione di Pantani, fatta di vignette iconiche e sferzanti, di colori brillanti e sarcasmo noir, contiene in nuce l’essenza stessa della trasformazione; il Matto non avanza verso la perdizione ma al contrario verso un inevitabile seppur drammatico (ri)trovamento del sé nello stato animale (Balena Squalo).


Eleonora Farina