Autunno occidentale
Pietro Gaglianò
Le mostre sono strumenti per l’invenzione di mondi. Nella storia della civiltà occidentale (o, più correttamente, dell’area euro-nordamericana) i momenti di espansione coloniale, di estensione del dominio, hanno coinciso con la formulazione di estetiche e di costrutti culturali. E parte di questa azione è stata affidata alla redazione di storie dell’arte, espresse come inizio, cominciamento. La storia dell’arte, infatti, come scrive Georges Didi-Huberman opera continue e sistematiche rifondazioni. In tal modo ogni storiografia dell’arte costituisce principi gerarchici, linee di ascendenza, riconoscimenti analogici per la dichiarazione di supremazie culturali. In tempi più recenti (tempi in cui si scrive di più e si legge di meno, e la connessione globale impone l’immediatezza del visibile) sono le grandi mostre a segnare, o a raccogliere i simboli, delle svolte nella trasformazione sociale, dei rapporti tra aree di potere e tra regioni del pianeta (come esempio valga la seminale mostra di Harald Szeemann, When Attitudes become Form, che ha radicalizzato alcune pratiche di produzione artistica e culturale, o su un piano geopolitico i sontuosi progetti espositivi che alla fine degli anni Ottanta recepiscono il nuovo assetto postcoloniale e le conseguenze della fine della Guerra Fredda).
La creazione di una mostra si svolge però entro un orizzonte differente, segue percorsi cosmogonici che definiscono uno spazio concluso e autosufficiente, anche se rizomaticamente collegato al resto dell’universo, che non pone ambizioni egemoniche e di solito non punta alla fondazione di sistemi. I mondi aperti dalle mostre si edificano con regole proprie e adottano ruoli e funzioni degli attori che le abitano: gli autori, i mediatori, i diversi interlocutori chiamati ad attraversarle.
Autunno si dispiega come un diorama: fa propria la capacità generativa della mostra e ne amplifica la qualità autoriale mettendo in scena una revisione delle funzioni tradizionali dell’artista e del curatore. Il progetto, infatti, costituisce l’evoluzione della recente ricerca di Paolo Chiasera che nel corso degli ultimi anni ha esplorato la possibilità di utilizzare la pittura per ricostruire genealogie culturali, rapporti tra l’arte e la storia, tra l’opera e il suo manifestarsi al cospetto del pubblico. Exhibition painting, traducibile con la parafrasi “mostre create su tela attraverso la pittura”, è un formato sperimentale elaborato dall’artista e sviluppato in varie istituzioni in Italia e in Europa. Chiasera crea dei veri e propri cicli pittorici (e l’evocazione dell’universo morale e civile che nel Medio Evo si srotolava sui muri delle cattedrali come sintesi del mondo non è qui casuale) dove trovano posto le opere e il pensiero di altri artisti, scrittori, critici. La “mostra di mostre” si situa così in una dimensione trasversale e prende la forma di un parlamento, un consesso di autori nel quale convergono nuove possibilità di interpretazione del tempo e dello spazio della mostra.
In questo formato Paolo Chiasera indaga nuovi orizzonti per il linguaggio della pittura, alfabeto primario e polisemico di cui l’artista si fa medium e traduttore. È la pittura, espressione suprema nell’arte, precipitato alchemico dello sguardo e della mente, l’autentica protagonista del lavoro di Chiasera. E il suo moltiplicarsi in spazio del possibile, nell’accogliere mostre e consessi di maestri, è un affondo nella reinterpretazione della pittura come pratica curatoriale.
Autunno si colloca nel solco di questa ricerca partendo dalla riflessione su una mostra curata da Alberto Boatto nel 1974 in una galleria bolognese; l’artista, meticciando il proprio ruolo con quello del curatore, riprende il catalogo della storica esposizione in cui il critico aveva formulato un’estensione della mostra stessa, aggiungendo altri autori (nessuno di loro è un artista visivo) a quelli già esposti. Chiasera sperimentando una tecnica mista con elementi del monotipo e della pittura ad affesco ha realizzato i ritratti di Eraclito, Rainer Maria Rilke, Sigmund Freud, Stendhal, Norman Brown, Friedrich Nietzsche, James Joyce, André Breton, André Malraux, San Giovanni Evangelista e del Marchese de Sade; la struttura circolare dello spazio espositivo è stata trasformata in un pantheon di studiosi, scrittori e filosofi del pensiero di matrice occidentale, dove all’evocazione della storica mostra bolognese si intreccia il sentimento di una sorta di diario privato in cui emergono i fantasmi di alcune delle personalità che hanno influito sulla formazione di Chiasera.
L’autunno del titolo della mostra descrive una condizione di mutamento imminente, una attitudine trasformativa che si esprime nella compenetrazione tre le arti e il pensiero speculativo, punto di partenza per l’edificazione e la comprensione della civiltà. La foresta sovrapposta all’architettura, sulla quale appaiono i volti austeri dei grandi pensatori, dichiara un’altra connessione necessaria: quella con i processi della natura. Secondo Oswald Spengler, altro riferimento nella formazione estetica di Chiasera, la natura predispone i modelli simbolici e formali per la cultura: una fitologia del pensiero e dell’elaborazione morale e intellettuale.