Pitture in forma di scultura
Le sculture di Turrini sembrano respirare nell’aria non solo perché essa sembra sorreggerle ma anche perché essa vi entra dentro trapassandola come uno spirito alitante, quasi respirando con loro. La loro composizione geometrica tende a creare organismi. Anche quando si liberano in tensione pura, esse hanno sempre una partenza razionale, rimangono geometrie di origine euclidea. Tanto che sembrerebbe una contraddizione in sé questo titolo della mostra nella quale campeggiano forme geometriche fondamentali col loro innegabile richiamo alla razionalità e alla misura delle cose. Esse suggestionano Turrini e costituiscono un riferimento primario, basico, per il suo lavoro di artista. Sono sculture/composizioni, architetture essenziali in cui la ragione detta le proprie regole per dare assetto allo spazio in un bisogno umano di appropriarsene, gestirlo, conoscerlo e trovarvi il proprio posto.
Sono costruite da parallelepipedi trasparenti o da sfere nel cui spazio, delimitato dalla propria lineare struttura, trovano collocazione riquadri di metalliche retine, anch’esse trasparenti, sottili come garze, su cui dimora la presenza di un colore. E’ la rete stessa di alluminio a giocare con i propri riflessi, ondulando e cangiando insieme al colore che si fa sempre più ombra nelle proprie sfumature analitiche, quasi a svelare la propria intimità.
Sembrano quasi pitture tridimensionali, lavori suggestivi composti da morbidi strati di un metallico tulle disposti in sequenze verticali, ritmicamente distanziati, sospesi nella loro geometrica archi/struttura, misuratrice perfetta di uno spazio, e cosparsi di colore che rimane intriso nelle finissime maglie reticolari. Hanno nomi pittorici queste composizioni segnate da colore, soprattutto bianco o nero, talvolta giallo o blu che formano un percorso visivo apparentemente casuale ma che ti induce al rinvenimento di immagini e alla conseguente (ri)costruzione di una realtà non sai più se virtuale o reale; una realtà sfuggente, in ogni caso nascosta, quindi comunque presente. Il colore danza, il colore vibra dentro queste sculture fascinose e delicate, fa la parte del personaggio che appare deciso e si allontana come figura fantasmatica, che ti attrae e scompare in dissolvenza, ma non è un miraggio: ti dice dell’essere e dell’apparire delle cose, rimandandoti ala responsabilità dello sguardo. In questi parallelepipedi c’è uno spazio formato di combinazioni, di passaggi e di scomposizioni che concorre alla scoperta di una immagine che puoi osservare attraverso le semitrasparenti orditure reticolari ma che al tempo stesso puoi ricomporre in direzione opposta, con altro effetto, per cui ti ritrovi a considerare due aspetti diversi di una medesima univoca realtà. La trasparenza è un effetto di scopo di Turrini per condurci ad un punto nascosto e più profondo: la scoperta di una realtà sempre possibile sospesa fra terra e cielo come nel cuore di una scultura.
La geometria non è più la cosa più importante della vita. Non più l’unica.
Nello strutturarsi di queste sculture è riconoscibile l’opera della mente umana: il riconoscimento di un modo di percepire, penetrare e interrogare; di un mondo in cui tuffarsi nel gioco di indagine della mente esplorativa. In tali sculture e nel loro “farsi” c’è la curiosità ad andare dentro le cose per rendere visibile ciò che rimane invisibile. Resta dentro di esse un mondo pensato e immaginato, percepito e desiderato; un mondo direzionato alla conoscenza e al disvelamento, dove appare possibile -e a portata di mano- la scoperta di una verità.
Allora la geometria è punto di partenza, una strada, una condizione, indispensabile e ineludibile, per andare alla scoperta dell’altra metà del cielo, ossia di quello spazio che si allarga all’orizzonte dell’immaginario e che libera tutte le potenzialità della ragione verso il possibile. Se lo spirito geometrico ci guida appassionatamente alla esplorazione della conoscenza dell’ordine del mondo e al controllo delle cose, ad esso si accompagna la libertà intuitiva (lo ”spirito di finezza” direbbe Pascal) che altrettanto appassionatamente ci induce a pre-figurare ( quindi a modellare prima) le impronte di uno spazio nuovo e possibile, le infinite trasformazioni della geometria; le sue trasfigurazioni, le architetture organiche. Nei lavori su carta, esse prendono la indefinibile geometria di una forma , di un corpo che cerca la propria strada per manifestarsi. Partendo da un segno o da un grumo o da una figura geometrica, si diluisce in meandri, percorsi, campiture sfumate e diffuse fino a diventare il “doppio” di se stesso e stabilirsi in perimetri inattesi per cui dall’iniziale struttura geometrica si crea un organismo stupefacente non programmato ma aderente, per l’autore che lo guida in parte, alla misteriosa spontaneità della natura, come agli esiti dei frattali. Sono le forme organiche che prendono il via da una iniziale figura o linea o punto geometrici. In questa continuità fra inizio geometrico, quindi razionale, e imprevedibilità degli esiti dell’intervento umano, si situa l’azione di Turrini per indagare e riflettere su ciò che sta dentro le forme. E osservare da vicino, in una sorta di scoperta/meraviglia, il percorso consapevole di avvicinarsi all’invisibile. Se lo scienziato cerca nella materia le reazioni degli elementi che la compongono, l’artista Turrini vuole rendersi conto delle manifestazioni segrete dei suoi colori e delle loro ombre, del loro combinarsi in una forma piuttosto che in un’altra, e soprattutto del loro disvelarsi nella loro essenza.
Le trasfigurazioni di Turrini, i cambiamenti di stato delle sue figure, le sue geometrie organiche, generative di forme nuove, previste quanto imprevedibili, rompono schemi e categorie consolidate. Superano la loro conformazione: non più solo pittura o solo scultura, ma pittura/scultura e viceversa. Nel senso che i reticolati non restano solo volume e i fogli non rimangono solo superficie per il colore: ma diventano assetti per combinazioni tridimensionali. Qui alla Corte le forme geometriche di base si raddoppiano implementandosi nel colore (riaffiora ancora il tema del “doppio” in Turrini) e al tempo stesso si agglomerano in un virtuale volumetrico.
Colore e dimensione, superficie e volume, forma ed evoluzione, sono tutti termini presenti in questi lavori di Turrini. E tornando alla questione iniziale della razionalità (geometrica) e dell‘irrazionalità, viene da domandarci dove stia quest’ultima: se nell’imprevedibilità delle forme o nel caos generato dalla casualità. Ma se questo caos possiede esso pure una ragione, allora non è più così ir-ragionevole. L’arte di Turrini gioca su questi aspetti, non per paradosso ma per indicare una possibilità, lasciando aperte tutte le ragioni perseguibili. Il leit motiv della trasformabilità della forma e del colore prende qui la piega di una personale poetica artistica.
Attilio Maltinti